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Ha scritto Giorgio Caproni: «Ciascuno ha il suo Montale, / ritagliato a misura. / Vale quello che vale, / secondo natura e statura». Nei saggi raccolti in La ragione e il sogno (un titolo mutuato da un detto memorabile di Tommaso Ceva, qui definitivamente "restituito" al suo autore) Anna Nozzoli aspira ad offrire, della più alta tra le esperienze poetiche del Novecento italiano, un'immagine sfaccettata e plurivoca, a partire dalla registrazione del capitale cortocircuito che ab origine Montale stabilisce tra «versi» e «prosa», promossa a «grande semenzaio d'ogni trovata poetica». La rimozione dell'esperienza della prima guerra mondiale e il suo tardo repêchage nel gioco libero e coatto della memoria; il mito, anfibio e duale, della Torino di Gozzano e di Gobetti; la centralità che in Montale detiene una costellazione di cruciali "figure" allegoriche tra le quali spiccano l'«arca» e i «perduti»; l'articolatissima e talora sorprendente trama delle relazioni istituite con la civiltà e la poesia inglesi appaiono, in questa luce, come gli oggetti privilegiati di una mobile strategia di lettura che, sul sottile crinale che ora confonde ora separa Vita e Opera, non rinuncia a intrecciare l'analisi formale e la contestualizzazione "storica" con l'escussione di testi rari (il discorso di Mantova del 21 giugno 1968) o di importanti lettere inedite a un destinatario d'eccezione come Aldo Palazzeschi.